Abbiamo intervistato il regista Marco Pollini che ha pubblicato da poco L’oratore con Santelli Editore. Ecco le sue parole ai nostri microfoni.
La storia di Felice è quella di un ragazzo che riesce a “cavarsela”, come scriveva uno dei bambini del famoso libro di Marcello D’Orta. Nella dura realtà campana, anche dopo 30 anni, il riscatto sociale è sempre l’aspirazione principale dei giovani. C’è un messaggio che vorrebbe arrivasse loro dalle sue pagine?
Il messaggio è di non arrendersi mai, di lottare per i propri sogni e i propri ideali. C’è sempre un alternativa.C’è sempre una vita onesta possibile. La vita disgraziata, il male è sempre In agguato, ma si può e si deve aspirare ad altro. Specialmente i giovani adesso hanno varie possibilità legate all’ arte, ai lavori “digitali”.
C’è qualcosa di autobiografico in questo romanzo di formazione?
Sì, ho scritto e fatto orazioni per i funerali di mio nonno, di mio padre, mio zio. Penso che sia una pratica giusta e necessaria. Una persona che ricordi chi non c’è più nella sua ultima Apparizione in pubblico. Come ho scritto nel libro, il prete che celebra la funzione sa poco o nulla del defunto. Dovrebbe invece ricordato da un oratore esperto che sia in grado di fare un grande discorso in suo onore.
Napoli, luogo dove sono ambientate le vicende del suo libro, è sempre un personaggio aggiunto nelle storie, spesso ingombrante per i suoi stereotipi. Cosa vorrebbe dirci che non sappiamo di questa meravigliosa città?
Che Napoli non è Gomorra, ma è arte, è energia, è creatività, è musica, è teatro, è vita. E dovemmo tutti, da italiani, promuovere questo non solo in Italia ma anche all’estero.
Cosa o chi è fonte di ispirazione per lei quando crea i personaggi delle sue opere?
Tutto, dall’elenco telefonico alla pubblicità nella cassetta della posta, da gente che incontro, dalla curiosità che è sempre presente in ogni momento della mia vita.
Intervista a cura di Maria Grazia Gentile