Salvatore Brusca torna con un nuovo volume, “I Santidiavoli”, pubblicato da Santelli Editore. Abbiamo avuto l’opportunità di scambiare quattro chiacchiere con l’autore.
In questo libro lei si interroga su un tema delicato che oggigiorno riguarda sempre di più ciascuno di noi: il fine-vita, tra dogmi religiosi e scientifici. La storia del protagonista Paolo Schlick, malato terminale, è un pretesto per denunciare una cultura in ritardo e ipocrita, che ancora si rifiuta di riflettere sull’autodeterminazione della persona. La sua è coscienza civile o si sente particolarmente coinvolto dalla questione che dibatte per motivi personali?
Nella società contemporanea il tema del fine vita racchiude una delle questioni etiche più rilevanti, pertanto credo sia inevitabile un coinvolgimento emotivo di chiunque abbia consapevolezza che con lo sviluppo delle scienze biomediche si siano creati i presupposti per cui ognuno di noi possa trovarsi nelle condizioni terminali non solo di Paulo Schlick, che comunque non viene tenuto in vita attraverso terapie particolarmente avanzate o con dispositivi tecnologici, ma di tanti uomini e donne che vedono protrarsi la loro vita in una lunga e inarrestabile agonia, senza avere la possibilità di scelta. Quando una persona si trovi nelle condizioni di estrema infermità e sofferenza fisica e psicologica e ai suoi occhi la vita non ha altro senso se non quello di attendere la morte, credo, per motivi profondamente umani, che la richiesta di un intervento eutanasico dovrebbe essere consentita e accolta. In questo caso i confini tra la coscienza civile e le motivazioni personali risultano per davvero sfumati, tuttavia possiamo dire che la motivazione fondamentale che mi ha spinto ad occuparmi di questo argomento è riconducibile ad un sentito convincimento culturale.
Lei ha avuto successo come scrittore di drammi storico-filosofici, grazie alla capacità di collocare questioni morali in suggestive cornici storiche del passato. Questa volta si occupa di vicende fortemente attuali. Perché questo cambiamento?
Uno dei temi che attraversa la mia produzione drammaturgica è quello della libertà; sia nei drammi storici con ambientazione sette-ottocentesca sia in lavori come “Fallout”, edito da Santelli Editore nel 2019, che tratta della questione ecologica anche in relazione alle armi nucleari e in modo ancora più pregnante ne “I Santidiavoli” come rivendicazione del principio di autodeterminazione nelle scelte che concernono la sfera dei diritti individuali. Tenga presente che la problematica dell’eutanasia in questo dramma si intreccia con quella della procreazione assistita eterologa, altro motivo divisivo in materia di diritti civili nella società contemporanea.
Chi le piacerebbe che commentasse gli argomenti che propone, magari avviando un dibattito capace di smuovere l’opinione pubblica?
Sarei felice se questi temi trovassero una maggiore accoglienza nel mondo della scuola e soprattutto se venissero recepiti attraverso attività teatrali, capaci di penetrare più profondamente nel processo di consapevolizzazione che la scuola pubblica, quindi laica, deve necessariamente perseguire, se vogliamo che nelle nuove generazioni alla conoscenza puramente teorica e dottrinale seguano comportamenti responsabili e avveduti. A questo tipo di attività i miei drammi, con qualche lieve adattamento ai vari contesti educativi, si prestano agevolmente. Ad esempio, “Fallout” è stato rappresentato in un contesto carcerario con grande partecipazione emotiva da parte dei detenuti. Per il resto credo che anche una semplice e meditata lettura possa, attraverso il susseguirsi delle vicende drammatiche a cui vanno incontro i protagonisti dell’opera, suscitare quella una presa di coscienza più che mai necessaria.
Spesso nell’Età Contemporanea non c’è tempo per la riflessione e la ragione critica. Lei sostiene che l’uomo dovrebbe vivere con più pienezza, riscoprire i suoi bisogni e le sue aspirazioni. Come avviare questo percorso di rinascita?
Lei dice bene quando afferma che non c’è tempo per la riflessione e la ragione critica, aggiungerei che non c’è tempo neanche per la semplice ragionevolezza e i risultati sono sotto i nostri occhi. Da una parte abbiamo un convincimento diffuso che il progresso tecnologico e scientifico sia infinito, trovando rappresentazione a livello economico nel mito della crescita del PIL come imperativo ineludibile, senza renderci conto che mettiamo a repentaglio la nostra sopravvivenza in quanto specie; dall’altra persistiamo nell’applicare categorie proprie di altri contesti storici e culturali, come nel caso dell’eutanasia e della procreazione assistita, comportandoci come se volessimo andare su Marte utilizzando coordinate attinte al sistema tolemaico. In che modo risollevarci da questa condizione, oltre che confidare nell’urgenza sempre più stringente con cui questi temi si impongono, quasi “motu proprio” all’attenzione dell’opinione pubblica? Credo che il nostro compito sia quello di indicare i crepacci e le discordanze che sotto la superficie levigata caratterizzano la nostra realtà. Spero che “ I Santidiavoli” possa contribuire al raggiungimento di questo obiettivo.
Intervista a cura di Maria Grazia Gentile