Giovanni Calza ha scritto Jukebox per Santelli Editore, un libro che ripercorre degli anni magici per il nostro paese attraverso immagini e suggestioni. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo.
Gli anni ’60 del boom economico, di crescita e di gioia di vivere. È la nostalgia che l’ha spinta a creare questa opera o di quel periodo storico ricorda anche aspetti negativi?
Rispondo alla prima domanda con un ritaglio di articolo tratto direttamente dal libro, dal quale si può trarre una risposta molto realistica. Tratto da: A quei tempi… la tivù dei ragazzi (pag.9) A quei tempi le famiglie vivevano a stretto contatto. Si sapeva tutto di tutti, ovviamente lievitato da invidia e maldicenza. Prevaleva però l’aiuto reciproco. Per fare le case si mettevano in quattro o cinque amici, e par sfàr al majàl (ammazzare il maiale e fare i salami) si trovava sempre qualcuno che aiutava a insaccare i salami e a far i cìcioli. Per avere piccoli prestiti si chiedeva a un vicino: in bottega si lasciava da pagare, si diceva” ségna!” e i conti sul libretto si saldavano a fine mese, quando si tirava la paga; per telefonare si andava a casa di qualcuno, così anche per vedere la tele. (…)
Cosa le piacerebbe che recuperasse la società attuale di quegli anni d’oro che racconta?
Nella seconda domanda Lei mi chiede se è stata la nostalgia ad avermi spinto a scrivere questo libro. Per gli aspetti psicosociali certamente sì; anche per gli aspetti economici, perchè bisogna dire che quando si era tutti poveri non ti accorgevi della tua povertà, perché tu eri uguale agli altri; il tuo benessere dipendeva dunque da altri fattori, che poco o niente avevano a che fare con la ricchezza economica. Ora abbiamo la ricchezza economica ma siamo certamente più infelici di allora.
Il suo libro sembra un manuale, una guida attraverso le stanze intime dei suoi ricordi. Sono davvero tutti autobiografici?
Ho nostalgia dei caffè sempre pieni di gente, della comunicazione che correva libera, della gente che si salutava, che si sorrideva per strada, per le ragazze che se le affiancavi con la bici sorridevano e stavano al gioco; le famiglie plurinucleari impedivano la solitudine fisica e psicologica degli individui, dei nonni e dei nipoti. Per quanto riguarda la musica, mi sento orfano di tutte quelle trasmissioni radiotelevisive e quelle manifestazioni che favorivano la promozione di canzoni e di cantanti: Cantagiro, Settevoci, un Disco per l’estate, Festivalbar, Canzonissima, Festival di Sanremo, Festival delle Rose, Festival di Castrocaro, Hit Parade, Per voi giovani.
A chi consiglierebbe la lettura di Jukebox?
Consiglio il libro ai ragazzi, perché confrontarsi con il passato è sempre utile; a maggior ragione sapendo che si tratta di un passato recente, non ancora sepolto. Poi lo consiglio ai sessantenni perché un viaggio nel tempo fa bene al cuore.
Intervista a cura di Maria Grazia Gentile
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