Antonino Cannavacciuolo, un episodio riprovevole che speriamo non accada mai più. E’ stato lui stesso a raccontarlo
Antonino Cannavacciuolo è uno degli chef più famosi d’Italia. Con la sua partecipazione a Masterchef si è attirato la simpatia di migliaia, se non milioni di telespettatori. Ma non solo, la sua carriera televisiva è continuata poi con ‘Cucine da incubo’ e possiamo dire che molti lati del suo carattere ‘tenero’ siano venuti fuori proprio lì. Si è sempre fatto trovare pronto, infatti, quando c’è stato da aiutare qualcuno a venir fuori da una crisi riguardante il proprio ristorante. Ci ha sempre messo l’anima e ha trasmesso tanto a tutti quelli che ne avevano bisogno, anche dal punto di vista delle più semplici tecniche di cucina. Ma chi era, Antonino Cannavacciuolo, prima di tutta questa fama? Come ha fatto a diventare ciò che è oggi e quanta gavetta ha fatto?
Antonino Cannavacciuolo è figlio d’arte: suo padre era cuoco ed anche professore all’Istituto Alberghiero del suo paese. Insomma, è cresciuto praticamente tra i fornelli. Quando disse a suo padre che avrebbe voluto fare anche lui lo chef, lui non era molto d’accordo. Voleva a tutti i costi deviare quella decisione. Gli mise davanti un calendario e gli cancellò sotto gli occhi tutte le date in rosso, per fargli capire che avrebbe dovuto rinunciare a Natale, Pasqua e qualsiasi altra festa o ricorrenza che tutti gli altri passano in famiglia. La vita del cuoco è dura, senza ombra di dubbio.
Se, poi, a tutto questo si aggiunge una gavetta non proprio ‘semplice’, allora diventa durissima. Antonino Cannavacciuolo ha raccontato in un’intervista al Corriere della Sera di alcuni maltrattamenti subiti dal cuoco che gli ha insegnato il mestiere. Dei metodi duri, per non usare altri termini: “Sono andato a lavorare in cucina a 13 anni e mezzo. La notte tornavo a casa con spalle e braccia blu per le mazzate che mi rifilava uno chef. Mia mamma voleva protestare. Mio padre disse: ‘Se gliele ha date, significa che se le meritava’. Ora quello chef lo arresterebbero per maltrattamenti. A me è servito. Il primo incarico fu aprire le uova: romperle, separare il tuorlo dall’albume, montarle per il gelato alla vaniglia. Aprivo 800 uova al giorno, per fare 50 contenitori di gelato da mettere sulla macedonia e le fragoline di bosco. Alla fine c’era da lavare la cucina, scopare per terra, svuotare il magazzino. Poi mi passarono ai prosciutti. Da ragazzino mi veniva la febbre per la fatica, e mio padre mi mandava a dormire in macchina. Solo una volta mi portò in ospedale perché avevo le gambe gonfie appunto come prosciutti”. Insomma, un comportamento che non si può definire che riprovevole da parte di chi doveva trasmettere l’arte culinaria ad un ragazzino alle prime armi. Fare il cuoco è una scelta, significa un po’ dare sfogo alla propria creatività così come fa un’artista: cosa c’entrano le ‘botte’ con tutto questo? Chissà, probabilmente non lo capiremo mai e speriamo di non dover più sentire storie del genere.
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